In the sicilian boat
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Palermo, capital of Sicily, and the collateral consequences of the pandemic.
In a broken land, punished economic and socially, without jobs, with a high rate of exodus and migration, the situation has been aggravated because COVID-19 lockdown. Now, Palermo is face to face with a known enemy: hunger, fear, death.
Different organizations and social movements have joined forces to improve quality of life for all citizens. It doesn’t matter where you were born, the color of your skin, your faith. You are sicilian now. And we’re on the same boat...
This project is ongoing since February 25th, when first case was discovered in Palermo. Frontiers begin to open three mouth later. But the pain of hit, in this wounded land, will last a long time. So this project attempts to document the rebirth.
Beyond the crisis, the Mafia and the virus Palermo resists.
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Non c’è uomo meno fortunato di chi viene dimenticato dalle avversità e non ha la possibilità di mettersi alla prova
Seneca -
Verso metà febbraio del 2020 tornai in Sicilia dopo una breve visita in Spagna. Non fu niente di previsto. Ho l’abitudine (l’avevo) di guardare asiduamente i voli e dire “un giorno ne prenderò uno senza pensarci su, e me ne andrò”, ma non lo feci mai. Fino a quel giorno. Presi un biglietto di andata e ritorno e andai a casa quasi senza avvisare. Quando arrivai, raccontai alla mia famiglia, tra le risate, quanto erano esagerati gli italiani, che mi avevano controllato la temperatura prima dell’imbarco per ciò che stava accadendo in Cina, in Cina! manco c’entrasse con loro! L’aneddoto finì là perché fu soltanto quello, un’aneddoto, dato che in Spagna non mi controllarono mai la temperatura (spero e desidero non soltanto che abbiano cambiato i protocolli, che so che è stato fatto, ma che vengano rispettati). I pochi giorni che rimasi a casa li vissi alla mediterranea, cioè, in famiglia, mangiando, dormendo e incontrando degli amici. Quando ritornai fui accolta nell’aeroporto di Palermo ancora con un controllo di temperatura e il classico “Benvenuta in Italia”, e poi la mia anche classica risposta “Grazie” accompagnata di un sorriso più grande del solito al stupirmi della ammirevole coerenza sanitaria di fronte a una minaccia così lontana… Da allora resta il mio sorriso insieme a una risatina tragicomica, frutto di almeno un anno senza uscire da Palermo, di vita mediterranea di mangiare e dormire ma senza i miei. Tranquilli, niente nostalgia, è soltanto tradizione.
Qualche giorno dopo il mio rientro, arrivò la notizia di una possibile infezione in un hotel palermitano. Dalla Spagna, dove fino a quella mattina il virus era qualcosa di esotico, mi chiesero di andare a fare un servizio. Andai, lo feci ma non si pubblicò mai perche saltarono le alarme a Barcellona. La mattina il virus era qualcosa di esotico, la sera una minaccia reale. -
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L’8 marzo, in un ambiente rarefatto, con pioggia, seppi che l’Associazione Comunità Cinese di Palermo della via Lincoln stava distribuendo mascherine gratuitamente. Mi sembrò che, se non era notizia, quanto meno era qualcosa di eccezionale, e quindi andai a fare qualche scatto e chiacchierare con i commercianti cinesi. Lì ebbi il piacere di conoscere i nostri ormai grandi e cari amici: la mascherina e il gel idroalcolico.
Quando finì la distribuzione mi dissero che loro stavano chiudendo e che non sapevano quando avrebbero riaperto. Ascoltai il lamento della saracinesca colpendo il pavimento al chiudersi. Due giorni dopo, l’Italia decretava il lockdown.
Nelle settimane posteriori all’inizio del lockdown, Palermo incominciò a soffrire tutta una serie di conseguenze collaterali della pandemia. In una terra dannata economicamente, con un alto tasso di disoccupazione, esodo e immigrazione, l’isolamento stava mandando fuori controllo la già delicata situazione di tante famiglie che si incontrarono faccia a faccia con un nemico sempre in agguato: la fame.
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Organizzazioni come il gruppo G.E.S., appartenente al A.N.A.S., raccolsero circa 5.000€ di donazioni fatte da privati che, assieme a quelle fatte dalle aziende di distribuzione di prodotti alimentari, contribuirono al sostegno alimentare di oltre 280 famiglie durante il mese di aprile. Come l’A.N.A.S., diverse organizzazioni governative, no-profit e movimenti sociali continuarono la loro opera di assistenza alle famiglie in situazione di emergenza radicata al di là del COVID-19.
Si stima che nel corso dell’emergenza coronavirus sono aumentate del 20%-30% le richieste di aiuto alimentare in tutto il paese, registrandosi le maggiori criticità nel Mezzogiorno, dove sono aumentati di un 11% in Sicilia. La chiusura generale non soltanto stava compromettendo il tessuto produttivo, già gravemente compromesso. Anche stava alterando le vite di quelli che si affannavano per sopravvivere senza bisogno di ulteriori incentivi. Secondo i dati della Cgil, soltanto nella provincia di Palermo un lavoratore su quattro è in nero.
Navigando tra i vari rapporti, siano questi nazionali che internazionali, sul rischio di povertà ed esclusione in Italia, e in particolare in Sicilia, trovai montagne di grafici indecifrabili, tra cui cui spiccava la percentuale di popolazione disoccupata, e mi stupii vedendo che questa veniva divisa tra “pensionati”, “in cerca di lavoro” e un enigmatico “in un’altra condizione”. Mi chiedo perché la diplomazia linguistica si ostina a nascondere con parole magniloquenti ciò che è sempre stato lavorare in nero, cioè, senza garanzie, senza assicurazioni, invisibile manodopera che sostiene tante famiglie, ancora di più quando è la situazione in cui si trova praticamente la metà della popolazione definita come disoccupata. Come si forgia una patria di invisibili?
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Le notizie si susseguivano senza sosta in tutto il mondo. Era impossibile stare al passo e inoltre non sembrava più di avere senso. Era come una scommessa per decidere chi dava di più, quindi mi chiesi se non sarebbe stato meglio fare un passo indietro per vedere la situazione in prospettiva, in 35mm. Un piano di contesto, un piano antropologico.
I popoli del Mediterraneo si mantengono ancora, in misura maggiore o minore, lontani dell’individualismo esacerbato promulgato dalle potenze di un Occidente di cui, ironicamente, fanno parte. Forse per questo di solito non vengono considerate a capo dei ranking di “sviluppo” da loro promossi. Ogni singolo membro delle famiglie palermitane viaggia sulla stessa barca, alla quale si aggiungono i migranti venuti innanzitutto dall’Africa e dall’Asia, facendo ancora più grande e accogliente la barca siciliana. Ma essere uniti non evita le tempeste, soprattutto nell’alto mare di una pandemia.
In base al principio del Funzionalismo, la totalità degli aspetti relativi a una cultura si correlano tra di loro relazionandosi a vicenda, quindi l’alterazione di una parte incide sul tutto. Speculando su questa idea nella società siciliana, nella sua variante palermitana durante la pandemia, si potrebbe affermare che il disallineamento generato dalla sospensione delle attività produttive formali e informali hanno scosso l’intero tessuto sociale. La società palermitana è storicamente radicata in una solida base familiare, essendo ogni membro del suo nucleo al contempo protettore ed anche protetto. Per quella che sembra di essere una parte importante di questa società, costretta in una situazione precaria bassata su un’economia informale, vale a dire la cui fonte di guadagno nasce dei lavori senza contratti, occasionali, oppure delle attività più o meno illecite, chiudersi a casa non è un’opzione. Questo spiega in parte la lunghezza delle file per ricevere gli aiuti.
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A questo punto sarebbe opportuno pure abbandonare il punto di vista antropologico perché ci servirebbe un’accurata raccolta di materiali etnografici, dando passo a tre inconvenienti. Innanzitutto, la quantità di tempo necessario; inoltre, anche se superfluo ma non meno importante, che il risultato di un’inchiesta del genere, per quanto personalmente mi possa affascinare, farebbe annoiare, e non senza ragione, alla maggior parte dei lettori; e infine, perché si parla di fame, e la fame non si intende di teorie. La fame si ha, ora. E poi né io sono Malinowski né la Sicilia sono le isole Trobriand.
Così dai dati e dalla loro interpretazione conviene passare all’astrazione e chiedersi cos’è la fame. Logicamente qualsiasi domanda che parta da “cos’è” qualcosa ci porta alla filosofia, e la Sicilia di filosofia se ne intende, innanzitutto di Stoicismo. Perché se campare in Sicilia non è stoicismo soltanto Dio sa cosa sia. Ma siccome sono di mente dispersa me ne ricordo de I Malavoglia e penso che tutte le persone davanti me sono diventate quella famiglia, tutte hanno perso la loro barca, tutte sperano di riprenderla senza sapere né come né quando, disgrazia dopo disgrazia. La barca, sempre la barca siciliana…
Sono fiera, ma anche triste, di scoprire che sia per la Real Academia de la Lengua Española (RAE) che per l’Accademia della Crusca, la fame viene definita come “carestia, grande miseria”. A quanto pare su entrambi le rive del Mediterraneo condividiamo opinioni sullo stile di vita e le grandi tragedie, così, chiariti i termini, torniamo sulla barca…
Durante le consegne ascoltai diverse volte parlare di bambini dentro il nucleo familiare. Chissà perché non gli avevo mai prestato molta attenzione, anche quando ogni tanto qualche bambino si faceva vedere svolazzando nelle file. Mi piaceva vederli, mi facevano sorridere mettendo colore a una situazione che pur essendo drammatica era pure diventata protocollare: “Cognome, numero di componenti, presenza o meno di bambini, neonati?”, tutto quanto mi sembrava normale… normale… fin quando dando un’occhiata tra le scatole della spesa notai del latte in polvere. Latte di proseguimento, latte per i bimbi. Nelle infinite liste di famiglie bisognose c’erano dei bimbi. Nessun Seneca parlò mai di latte per i bimbi. Quindi né l’informazione giornalistica, né le teorie antropologiche né le divagazioni della filosofia servono per capire la “carestia e grande miseria”. Magari siamo arrivati finalmente all’etica… vogliamo parlare di etica?
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L’Italia si trova tra le potenze mondiali e, invece, in caso di pandemia, lo Stato italiano non può garantire che il latte arriva a tutti i bimbi che vivono nel suo territorio. Ma prima che qualcuno si offenda, gonfio d’amore per la madre patria, voglio chiarire qualcosa: so benissimo che a nessuno piace che la sua terra venga giudicata da un, o una, straniera. A ognuno il suo: io il mio, tu il tuo. Per ciò ci tengo a dire che questo in Spagna accade, negli USA accade, nel paese più sperduto dell’Africa profonda accade… e così sicuramente in ogni singolo paese, se non uguale almeno simile. No c’è bisogno di essere dotto, si sa. Che i moderni stati sociali hanno le sue fratture si ammette eppure si capisce, ma non garantire il sostegno fondamentale ai bambini perlomeno ci dovrebbe far pensare. E tra pensare e pensarci su, fare, remare, perché una barca alla deriva anela sempre di trovare porto.
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Di solito la gente tende a fare dei grandi racconti sulle sue scelte vitali. Io invece sono assai semplice, al punto che quando ero piccola mi piaceva il rumore che faceva la macchina fotografica mentre scattava e chiedere il perché di questo rumore (e di tutto). Per ciò, eccomi qua, quindi non datemi retta, io soltanto volevo sentire quel rumore… E il mare, il rumore del mare...
Sicilia, 2020
Victoria Herranz -
El hambre
La Sicilia de la otra condición
“No hay nadie menos afortunado que el hombre a quien la adversidad olvida, pues no tiene oportunidad de ponerse a prueba.”Hacia mediados de febrero de 2020, volví a Sicilia después de una breve visita a España. No fue nada planeado. Tengo la costumbre (la tenía) de mirar vuelos con frecuencia y decir "un día cogeré uno sin pensarlo y me iré", pero nunca lo hacía. Hasta ese día. Compré un billete de ida y vuelta y fui a casa casi sin avisar. Cuando llegué, le conté a mi familia, entre risas, lo exagerados que eran los italianos, que me habían tomado la temperatura antes de embarcar por lo que estaba sucediendo en China, ¡en China! ¡Como si tuviera algo que ver con ellos! La anécdota terminó ahí porque fue sólo eso, una anécdota, dado que en España nunca me tomaron la temperatura. Los pocos días que pasé en casa los viví a la mediterránea, es decir, en familia, comiendo, durmiendo y viendo amigos. Cuando volví, fui recibida en el aeropuerto de Palermo con otro control de temperatura y el clásico "Bienvenida a Italia", seguido de mi también clásica respuesta "Gracias", acompañada de una sonrisa más grande de lo habitual al sorprenderme de la admirable coherencia sanitaria frente a una amenaza tan lejana... Desde entonces, mi sonrisa permanece junto a una risita tragicómica, fruto de al menos un año sin salir de Palermo, de una vida mediterránea de comer y dormir, pero sin los míos. Tranquilos, nada de nostalgia, es sólo tradición.
Séneca
Unos días después de mi regreso, llegó la noticia de una posible infección en un hotel palermitano. Desde España, donde hasta esa mañana el virus era algo exótico, me pidieron que fuera a cubrir la noticia. Fui, lo hice, pero nunca se publicó porque saltaron las alarmas en Barcelona. Por la mañana, el virus era algo exótico; por la noche, una amenaza real.
El 8 de marzo, en un ambiente enrarecido, con lluvia, supe que la Asociación de Comerciantes de la Comunidad China estaba distribuyendo mascarillas de forma gratuita. Me pareció que, si no era noticia, al menos era algo excepcional, así que fui a tomar algunas fotos y a charlar con los comerciantes chinos. Allí tuve el placer de conocer a nuestros ya grandes y queridos amigos: la mascarilla y el gel de manos. Cuando terminó la distribución, me dijeron que estaban cerrando y que no sabían cuándo volverían a abrir. Escuché el lamento de la persiana golpeando el suelo al cerrarse. Dos días después, Italia decretó el confinamiento.
En las semanas posteriores al inicio del confinamiento, Palermo comenzó a sufrir toda una serie de consecuencias colaterales de la pandemia. En una tierra económicamente castigada, con una alta tasa de desempleo, éxodo e inmigración, el aislamiento estaba dificultando seriamente la ya delicada situación de muchas familias que se encontraron cara a cara con un enemigo siempre al acecho: el hambre.
Protección Civil recaudó aproximadamente 5.000€ en donaciones de particulares que, junto con las realizadas por empresas de distribución de productos alimentarios, contribuyeron al apoyo alimentario de más de 280 familias durante el mes de abril. Al igual que ellas, diversas organizaciones gubernamentales, ONG y movimientos sociales continuaron su labor de asistencia a las familias en situación de emergencia, situación que se ha arraigado más allá del COVID-19.
Se estima que durante la emergencia del coronavirus, las solicitudes de ayuda alimentaria en todo el país aumentaron entre un 20% y un 30%, registrándose las mayores dificultades en el Sur. El cierre general no solo estaba comprometiendo el tejido productivo, ya gravemente afectado, sino que también estaba alterando las vidas de aquellos que luchaban por sobrevivir sin necesidad de incentivos adicionales. Según datos sindicales, sólo en la provincia de Palermo, uno de cada cuatro trabajadores forma parte de la llamada economía informal.
Navegando entre diversos informes sobre el riesgo de pobreza y exclusión en Italia, y en particular en Sicilia, encontré montañas de gráficos indescifrables, entre los cuales destacaba el porcentaje de población desempleada, y me sorprendí al ver que ésta se dividía entre “pensionistas”, “en busca de trabajo” y un enigmático “en otra condición”. Me pregunto por qué la diplomacia lingüística se empeña en ocultar con palabras grandilocuentes lo que siempre ha sido trabajar en negro, es decir, sin garantías, sin seguros, mano de obra invisible que sostiene a muchas familias, aún más cuando es la situación en la que se encuentra prácticamente la mitad de la población definida como desempleada. ¿Cómo se forja una patria de invisibles?
Las noticias se sucedían en todo el mundo. Era imposible mantenerse al día y, además, ya no parecía tener sentido. Era como una apuesta para decidir quién daba más, así que me pregunté si no sería mejor dar un paso atrás para ver la situación en perspectiva, en 35mm. Un plano de contexto, un plano antropológico. Los pueblos del Mediterráneo aún se mantienen, en mayor o menor medida, alejados del individualismo exacerbado promulgado por las potencias de un Occidente del que, irónicamente, forman parte. Quizás por eso, generalmente no se les considera a la cabeza de los rankings de "desarrollo" que ellos mismos promueven. Cada miembro de las familias palermitanas navega en la misma barca, a la que se suman los migrantes que vienen, sobre todo, de África y Asia, haciendo aún más grande y acogedora la barca siciliana. Pero estar unidos no evita las tormentas, especialmente en alta mar durante una pandemia.
Según el principio del Funcionalismo, la totalidad de los aspectos relacionados con una cultura se correlacionan entre sí, por lo que la alteración de una parte afecta al todo. Especulando sobre esta idea en la sociedad siciliana, en su variante palermitana durante la pandemia, se podría afirmar que el desajuste generado por la suspensión de las actividades productivas formales e informales estaba sacudiendo todo el tejido social. La sociedad palermitana está históricamente arraigada en una sólida base familiar, siendo cada miembro de su núcleo, al mismo tiempo, protector y protegido. Para lo que parece ser una parte importante de esta sociedad, forzada a una situación precaria basada en una economía informal, es decir, cuya fuente de ingresos proviene de trabajos sin contrato, ocasionales o de actividades más o menos ilícitas, quedarse en casa no es una opción. Esto explica en parte la longitud de las filas para recibir ayuda.
En este punto, sería apropiado también abandonar el punto de vista antropológico porque necesitaríamos una recopilación precisa de materiales etnográficos, lo que conlleva tres inconvenientes. En primer lugar, la cantidad de tiempo necesaria; además, aunque sea superfluo pero no menos importante, el resultado de una investigación de este tipo, por mucho que personalmente me fascine, aburriría, y no sin razón, a la mayoría de los lectores; y, por último, porque se habla de hambre, y la hambre no se entiende a través de teorías. La hambre se siente, ahora. Y luego, ni yo soy Malinowski ni Sicilia son las islas Trobriand.
Así que de los datos y su interpretación conviene pasar a la abstracción y preguntarse qué es la hambre. Lógicamente, cualquier pregunta que comience con "qué es" algo nos lleva a la filosofía, y Sicilia entiende de filosofía, sobre todo de estoicismo. Porque si vivir en Sicilia no es estoicismo, sólo Dios sabe qué es. Pero como tengo una mente dispersa, recuerdo a Los Malavoglia y pienso que todas las personas que encuentro se han convertido en esa familia, todas han perdido su barca, todas esperan recuperarla sin saber ni cómo ni cuándo, desgracia tras desgracia. La barca, siempre la barca siciliana...
Me siento orgullosa, y también triste, de descubrir que, tanto para la Real Academia de la Lengua Española (RAE) como para la Accademia della Crusca, el hambre se define como "carestía, gran miseria". Al parecer, en ambas orillas del Mediterráneo compartimos opiniones sobre estilo de vida y tragedias, así que, aclarados los términos, volvamos la barca...
Durante las entregas de comida escuché varias veces hablar de niños dentro del núcleo familiar. Quién sabe por qué nunca les presté mucha atención, incluso cuando de vez en cuando algún niño aparecía revoloteando entre las filas. Me gustaba verlos, me hacían sonreír, aportando color a una situación que, aunque dramática, se había vuelto protocolaria: "Apellido, número de componentes, presencia o no de niños, ¿recién nacidos?", todo me parecía normal... normal... hasta que al echar un vistazo entre las cajas de comida vi leche en polvo. Leche de continuación, leche para los niños. En las infinitas listas de familias necesitadas había niños. Ningún Seneca habló jamás de leche para los niños. Por lo tanto, ni la información periodística, ni las teorías antropológicas, ni las divagaciones de la filosofía sirven para entender la "carestía y gran miseria". Quizás finalmente hemos llegado a la ética... ¿queremos hablar de ética?
Italia se encuentra entre las potencias mundiales y, sin embargo, en caso de pandemia, el Estado italiano no puede garantizar que la leche llegue a todos los niños que viven en su territorio. Pero antes de que alguien se ofenda, lleno de amor por la patria, quiero aclarar algo: sé muy bien que a nadie le gusta que su tierra sea juzgada por un extranjero o una extranjera. A cada uno lo suyo: yo lo mío, tú lo tuyo. Por eso quiero decir que esto ocurre en España, ocurre en EE. UU., ocurre en el país más remoto de la profunda África... y así seguramente en cada país, si no igual, al menos similar. No hace falta ser erudito, se sabe. Que los modernos estados sociales tienen sus fracturas se admite y se entiende pero no garantizar el apoyo fundamental a los niños, al menos, debería hacernos reflexionar. Y entre pensar y reflexionar, actuar, remar, porque una barca a la deriva siempre anhela encontrar puerto.
Por lo general, la gente tiende a hacer grandes relatos sobre sus elecciones vitales. Yo, en cambio, soy bastante simple, hasta el punto de que cuando era pequeña me gustaba el sonido que hacía la cámara al tomar una foto y preguntar por qué hacía ese ruido (y por qué de todo). Por eso, aquí estoy, así que no me hagan caso, solo quería escuchar ese sonido... Y el mar, el sonido del mar...